Con i suoi colori tardo autunnali, le giornate che si accorciano e le foglie che cadono, novembre possiede tutta la melanconia necessaria per essere il mese in cui ricordiamo i nostri morti. Nel corso dei secoli ogni popolo ha trovato la sua maniera di confrontarsi con questo tema spinosissimo: in questa cartolina vedremo come se la cavano gli inglesi.
Il 31 ottobre qui si celebra Halloween che è una sorta di “due per uno” in cui si festeggiano nel contempo Ognissanti e il Giorno dei Morti.
Quando ero piccola in Italia di Halloween si sapeva tuttalpiù che era una festa americana (in realtà ha antichissime origini celtiche e cristiane e nasce giustappunto in Gran Bretagna e in Irlanda) che aveva qualcosa a che fare con i fantasmi e le zucche. Da qualche anno in qua però, intorno alla fine di ottobre si vede una miriade di bambini vestiti da fantasmini e streghette aggirarsi confusamente nelle vie delle nostre città apostrofando i malcapitati negozianti con la classica minaccia: “Dolcetto o scherzetto”. Ma a dirla tutta le città italiane, con i loro grandi palazzi condominiali, non sono affatto adatte a questo tipo di peregrinazioni: a Londra, dove Halloween è molto popolare, la maggior parte dei quartieri residenziali è costituita da villette a schiera. Queste vengono amorevolmente addobbate per l’occasione con un improbabile armamentario di scheletri, mostri, candele, zucche e chi più ne ha più ne metta. I bambini vanno di casa in casa, suonano i campanelli e vengono accolti dai vicini, spesso a loro volta travestiti da mummie o fantasmi, armati di ogni sorta di dolciumi raccomandati dai migliori dentisti. Si scambiano due parole scherzose, ci si augura Happy Halloween e alle 8 di sera tutti a nanna.
Ma cosa succede a queste latitudini quando arriva il momento di dare l’estremo saluto a una persona cara?
Qualche anno fa qui a Londra sono andata al funerale della nonna di un’amica. La signora aveva avuto una lunga vita e molta gente era venuta a darle l’ultimo addio. Il funerale, officiato da un prete anglicano, ebbe luogo in una sorta di cappella che sorgeva nel mezzo del cimitero. Al mio arrivo la famiglia della defunta era intenta a salutare i nuovi arrivati con sorridente compostezza, mettendo tutti a loro agio. Dopo il consueto rito religioso, figli e nipoti salirono uno dopo l’altro sulla pedana in cui era stato posto il feretro per fare un breve discorso rievocando la figura della scomparsa.
Quello che mi lasciò stupefatta fu il tono dei loro discorsi, non solo privi di qualsiasi traccia di retorica, ma addirittura pieni di verve e di umorismo. Ognuno raccontava del suo rapporto con la defunta rievocandone la personalità, gli episodi significativi della sua vita e soffermandosi in particolare sui momenti più buffi: il figlio raccontò di come sua madre, notoriamente una pessima cuoca, fosse fierissima della sua torta di mele, che si ostinava a servire a tutti i malcapitati ospiti, costretti alle più improbabili acrobazie per evitare di dover ingoiare una fetta di quell’intruglio, mentre la nipote, poco più che ventenne, ci disse di come la nonna prendesse vivissimo interesse alle sue vicende amorose, le regalasse i suoi cioccolatini preferiti infilando discretamente nella scatola anche una decina di preservativi e non nascondesse la sua antipatia nei confronti dell’ex fidanzato, a suo dire un bigotto che si prendeva troppo sul serio.
Da quei discorsi si capiva chiaramente che la signora era stata profondamente amata e sarebbe
tremendamente mancata ai suoi familiari, che tuttavia in quel momento si facevano forza e cercavano di prendere congedo da lei in modo dignitoso e sereno.
Nel tornare a casa pensai che grazie a quei ricordi mi pareva quasi di aver conosciuto la nonna della mia amica e di come quella cerimonia mi avesse toccato molto più di tanti funerali nostrani, specie quelli laici, caratterizzati spesso da un’atmosfera fredda e impacciata.
Mi resi però anche conto che io non avrei mai avuto la forza di mantenere un contegno del genere al funerale di una persona cara: i popoli mediterranei tendono a reagire alla morte in un modo decisamente meno represso, più emotivo, e drammatico (pensiamo alle prefiche ingaggiate per disperarsi ai funerali altrui), mentre i britannici fanno il possibile per mantenere il loro stoicismo e proverbiale senso dell’umorismo persino nei momenti più intimi e disperati.
Ne è un esempio il recente funerale di Elisabetta II: la splendida, solenne cerimonia, perfettamente orchestrata in ogni momento, è stata preceduta da una seduta del parlamento dedicata a rievocarne la figura: tra le sommesse risate dei convenuti, Teresa May raccontò di quando, nel prendere parte a un picnic organizzato dalla regina a Balmoral, il suo sguardo incrociò quello della sovrana che la stava osservando con divertita attenzione proprio mentre si affannava a rimettere discretamente su un piatto di portata del formaggio che le era caduto per terra, mentre Boris Johnson, in un discorso vibrante di commozione, ricordò la volta in cui, senza scorta né guardie, si ritrovò seduto in macchina a fianco della regina che teneva saldamente il volante “procedendo ad allarmante velocità nella brughiera scozzese tra lo stupore dei passanti”.
A proposito di solenne ricorrenze, l’11 novembre, alle 11 del mattino, giorno e ora che segnarono la fine delle Prima Guerra Mondiale, in Inghilterra si celebra il Remembrance Day dedicato al ricordo dei caduti delle forze armate. È una data molto sentita nel Paese: fin dai primi di novembre spuntano nelle strade i banchetti della Royal British Legion, l’organizzazione che sostiene i membri delle forze armate e le loro famiglie, in cui soldati in uniforme raccolgono donazioni offrendo in cambio la tradizionale spilla con il papavero rosso che in questo periodo fa bella mostra di sé tutti i cappotti, a partire da quelli della famiglia reale; gli studenti delle scuole portano corone ai monumenti ai caduti e in tutti i luoghi dedicati alla memoria dei caduti si tengono discorsi e si fa un minuto di silenzio. In quel giorno di solito io vado al Runnymede Memorial, un luogo suggestivo in cui si trovano incisi sulla pietra i nomi dei 20456 uomini e donne dell’aviazione dell’impero britannico che hanno perso la vita durante la Seconda Guerra Mondiale. È un luogo vivo, amato e frequentato costantemente da passanti e da parenti che portano un fiore, un messaggio o una foto a ricordare il loro caduto. Ho sempre ammirato questa volontà e capacità degli inglesi di tenere viva la memoria dei loro morti e degli eventi salienti della loro storia.
E proprio a questo proposito, sempre a novembre, e per la precisione il 5 del mese, qui si festeggia Guy Fawkes Night: se mai serviva una conferma del fatto che gli inglesi sono tradizionalisti, questa ricorrenza viene celebrata ogni anno fin dal 1605. In questo giorno la notte viene illuminata da un impressionante spettacolo di fuochi d’artificio e un fantoccio del famigerato Guy Fakes viene bruciato sul rogo, mentre il popolo festeggia il fallimento della cospirazione con cui Fakes voleva assassinare il re protestante Giacomo I insieme ai membri del parlamento, facendo esplodere 36 barili di polvere da sparo durante l’apertura della sessione parlamentare di 417 anni orosono.
Una celebrazione della democrazia da parte di una nazione che, nonostante le sue passate e recenti disavventure politiche, di questo tema se ne intende parecchio. E un bel modo per ricordare che il miglior uso della polvere da sparo resta sempre quello di usarla per i fuochi d’artificio.
P.S. Sul tema della morte e dei funerali la letteratura e filmografia britannica offre davvero molto e tendenzialmente con una marcata vena di dark humour.
Tra i miei preferiti c’è "La cassa sbagliata" di Robert Luis Stevenson, uno dei libri più divertenti che abbia mai letto: ha per protagonisti due vecchissimi ma battaglieri fratelli, ultimi superstiti di una tontina il cui capitale è destinato a quello di loro che sopravviverà all’altro. C’è poi il leggendario film "Harold e Maud" che racconta l’amicizia tra il diciannovenne di buona famiglia Harold, depresso e con tendenze suicide, e l’ottantenne Maud, una vecchietta a dir poco eccentrica piena di gioia di vivere nonostante sia sopravvissuta all’Olocausto. I due, ça va sans dire, si incontrano al funerale di uno sconosciuto.
Molto bello anche il film "La nostra vacanza in Scozia", la storia di tre bambini alle prese con l'improbabile funerale del loro carismatico nonno scozzese e con un mondo di adulti troppo presi da se stessi per prestare attenzione alle cose importanti. Divertentissima anche la commedia "Death at a Funeral" del regista Frank Oz che parla di una famiglia riunita per il funerale del padre, in un travolgente susseguirsi di colpi di scena. Potrei andare avanti ancora per un ben pezzo, ma concludo qui con un’ultima raccomandazione: non ha nulla a che fare con l’Inghilterra e non fa ridere, ma il più bel film che conosco dedicato al tema della morte è "Il settimo sigillo" di Ingmar Bergman.
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